Taranto, mentre in questi giorni è uscito il film “Palazzina Laf” la città si interroga sul futuro delle acciaierie ex Ilva, senza piano industriale ed ambientale ed a rischio chiusura.

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Taranto, mentre in questi giorni è uscito il film “Palazzina Laf” la città si interroga sul futuro delle acciaierie ex Ilva, senza piano industriale ed ambientale ed a rischio chiusura.

Manuel M Buccarella

Il 30 novembre è uscito nelle sale cinematografiche italiane il film “Palazzina Laf” di Luigi Riondino, quadro impietoso della realtà delle acciaierie più famose d’Italia e d’Europa. Parliamo dell’ex Ilva di Taranto, considerato uno degli stabilimenti industriali più inquinanti del Vecchio Continente e per tale motivo posto sotto sequestro dalla magistratura tarantina per disastro ambientale. L’impianto lavora praticamente con un solo altoforno, dopo che gli altri sono stati spenti in quanto inquinanti.

La realtà tarantina è a molti nota: l’impianto dà lavoro a migliaia di famiglie sia direttamente che nell’indotto ma oggi tantissimi lavoratori, proprio a causa della chiusura dei forni, sono in CIGS. La privatizzazione dell’azienda è stata condotta malissimo ed ha portato ad ulteriori guasti. La decarbonizzazione, necessaria sia all’azienda per continuare a lavorare in modo compatibile con l’ambiente e con la salute, sia alla città ed ai suoi dintorni per neutralizzare o ridimensionare i rischi di gravi danni alla salute – tantissimi negli anni i morti ed i malati a causa delle esalazioni del siderurgico – non si sa chi la porterà avanti e con quali costi. Proprio negli scorsi giorni l’ad di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, a proposito della decarbonizzazione dell’impianto, per la cui realizzazione lo Stato metterebbe un miliardo di euro ma non più da Pnrr ma da FSC nazionali, ha pronunciato le testuali parole: “Voi ci parlate di questa grande rivoluzione che è la decarbonizzazione ma noi siamo quelli che, poi, queste cose le dobbiamo fare. Allora, mi chiedo, chi paga la decarbonizzazione? E, ancora, quando bisogna fare qualcosa bisogna sempre chiedersi: ma, si può fare? La risposta scientifica è sempre sì ma noi dovremo chiederci anche: dopo, le aziende saranno ancora in piedi? Riusciranno a fare un prodotto, sicuramente pulitissimo, ma che poi qualcuno potrà acquistare?”. Intanto governo continua a trattare per convincere il socio privato, gli indiani di Arcelor Mittal, a restare. I sindacati chiedono all’esecutivo di nazionalizzare estromettendo il socio privato, bollato come «inaffidabile». Servono subito 320 milioni. Il prossimo incontro dell’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia è fissato per il 22 dicembre.  Dal 6 dicembre ad oggi vi è stato uno sciopero di 48 ore dei lavoratori degli altoforni.

Davanti a tale stato confusionale, ci si interroga sul destino di questo “mostro” e sul suo impatto in termini occupazionali, ambientali e di salute su Taranto e circondario. Mai Taranto ed il suo siderurgico, “male necessario” per la città, hanno attraversato crisi così profonda.

Per approfondire l’argomento, abbiamo scelto un interessante articolo pubblicato qualche giorno fa da “Altreconomia”, “È ancora notte fonda sulla ex Ilva. Taranto aspetta un piano per il futuro” a firma di Marina Forti, che invitiamo a leggere.

https://altreconomia.it/e-ancora-notte-fonda-sulla-ex-ilva-taranto-aspetta-un-piano-per-il-futuro/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=29112023NANS

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