Manuel M. Buccarella
Il 28 dicembre 1978, nel discorso di fine anno alla nazione, il presidente a vita della Repubblica Federativa di Jugoslavia, Maresciallo Josip Broz Tito, esortò i suoi concittadini a migliorare il funzionamento dell’autogestione e ad incrementare la produttività.
Il 26 giugno 1950 l’Assemblea Nazionale Jugoslava approvò una legge cruciale, scritta da Tito e Milovan Đilas, sull’autogestione (samoupravljanje): un tipo indipendente di socialismo che sperimentò la condivisione dei profitti tra gli operai nelle industrie controllate dallo stato. Il 13 gennaio 1953 la legge sull’autogestione venne posta a base dell’intero ordine sociale in Jugoslavia. Gli operai e gli impiegati nominavano i Consigli di fabbrica ed i direttori aziendali. Uno strumento, quello dell’autogestione, che la Costituzione del 1974 (che ritaglia sulla persona di Tito, oramai molto anziano, il ruolo di “presidente a vita”, con funzioni prevalentemente di “rappresentanza” ma comunque con il Comando supremo delle Forze Armate e con il potere di iniziativa legislativa) ribadisce come uno strumento di collettivizzazione del lavoro ed espressione della dittatura del proletariato.
L’autogestione, che ebbe successo a macchia di leopardo, laddove non fu ridimensionata dalla burocrazia del partito, fu anche un esperimento di socialismo di mercato, in quanto si concedeva la competizione tra imprese e la distribuzione degli utili tra i lavoratori.