Il governo Meloni pronto a tradire (quasi) tutti

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Il governo Meloni pronto a tradire (quasi) tutti

Riportiamo integralmente il testo dell’articolo pubblicato ieri 29 agosto su anticapitalista.org da Checchino Antonino a proposito della manovra finanziaria e delle misure che pare scontenteranno molti.

Meno di un’ora è durata la prima riunione del Cdm dopo le ferie. Di tagliare le accise non se ne parla nemmeno e per i lavoratori dello spettacolo solo un’umiliante e striminzita indennità di discontinuità. Nell’ombra Giorgetti pensa di fare cassa ancora tagliando pensioni e sanità. Ce n’è abbastanza per un autunno caldissimo? [Checchino Antonini]

La rentrée del governo dopo l’ingloriosa pausa estiva è una striminzita e ancor più ingloriosa riunione del consiglio dei ministri. Anche un bambino capirebbe che una seduta più corta di un’ora non è sufficiente per una discussione seria di qualsiasi provvedimento. Tanto più se incombono scadenze importanti, al di qua e al di là dei patri confini: dall’Ecofin nelle prossime settimane alla gita di Salvini in Grecia per discutere del dossier immigrazione nel nome dei decreti sicurezza e nell’ambito del derby con Meloni, fino alla manovra da varare entro l’autunno.

Meloni l’ha detto chiaramente: i soldi sono pochissimi e sarà lei a stabilire le priorità lasciando a bocca asciutta gli alleati, dall’odiato leader leghista al successore di Berlusconi, l’ectoplasma Tajani fino ai suoi notabili di partito che ora sono controllati dalla sorella Arianna.

Le promesse elettorali erano solo promesse (cancelleremo la legge Fornero e il canone Rai, pensioni minime a 1000 euro, aliquota unica al 15% per gli autonomi, fermeremo gli sbarchi e ridurremo le accise, tanto per dire).

Nell’eterno presente un governo deve pensare solo a non intralciare il pilota automatico che economia e finanza hanno predisposto a Francoforte (BCE) o a Bruxelles (UE), ossia il nuovo patto di stabilità e i vincoli di bilancio a blindare la trappola del debito. La presunta cultura della destra sociale è una barzelletta che si scioglie come neve al sole dopo i roboanti annunci, e le immediate ritrattazioni, della blanda tassazione sugli extraprofitti delle banche. Chi si fosse aspettato interventi sul costo dei carburanti, sconvolto dalla speculazione, o addirittura misure di accoglienza per chi sbarca avrebbe vinto il premio Ingenuità. Prima o poi qualcuno potrebbe chiedere conto dei milioni versati a regimi di tagliagole come quelli di Tripoli o Tunisi, ma non lo farà nessuno visto che l’ “esternalizzare le frontiere” è molto popolare anche nell’opposizione. Meloni non rinuncia a provare a riprendersi la scena ma su un tema caro al suo mondo, quello della sicurezza (con una passerella con un prete nel quartiere napoletano di Caivano, location di uno stupro di gruppo di due adolescenti) mentre Giorgetti si sta cimentando nell’ombra a proseguire con il cuneo fiscale e l’assegno unico raschiando il fondo del barile. I bene informati raccontano che sta chiedendo a ogni ministro di fare dei tagli, e tutti sappiamo che la Fornero è ancora la stella polare di questo governo per quanto riguarda le pensioni, la sua quota 103 è peggio perfino di quella 102 di Draghi. E chi è già in pensione farà la sua parte, nei piani di Giorgetti e Meloni, rinunciando forzatamente al già modesto margine di adeguamento all’inflazione. Anche stavolta il governo farà cassa di nuovo sulle pensioni rivalutandole solo in parte all’inflazione. Nel 2022 questo governo ha tagliato dalla spesa previdenziale 10 miliardi in tre anni e quasi 37 miliardi nel decennio.

Dicevamo che è stata una riunione lampo che però ha avuto il tempo per varare una cifra umiliante per l’indennità di discontinuità per lavoratrici e lavoratori dello spettacolo attesa da mesi dagli oltre 20mila precari di un settore strutturalmente a intermittenza, che potranno godere di 1500 euro l’anno, ossia un’elemosina di 125 al mese sulla linea idelogica di guerra ai poveri già seguita in occasione del taglio del reddito di cittadinanza.

Finora hanno portato a casa qualcosa solo alcuni settori sociali incardinati nel patto delle destre estreme, balnearisti, tassinari, la Lobby del Ponte, e un po’ le imprese per le quali il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori si è tradotto in un sussidio indiretto.

Sullo sfondo però, dopo la manovra lacrime e sangue, ci sono le europee. Se il crollo dei salari manterrà questa velocità di crociera potrebbe essere un bagno di sangue per i partner di governo che, per questo, sono all’affannosa ricerca di un cilindro da cui tirar fuori un coniglio da 10 miliardi magari grazie all’incrocio dei dati con i conti correnti annunciato dal direttore dell’Agenzia delle Entrate. Ma il coniglio più tradizionale è quello dei tagli, specie i 4 miliardi annunciati a scapito della sanità, che peseranno comunque sui redditi più bassi. Poi non dite che non ce l’aveva detto, Giorgetti, quando ci ha nvitati a farci una previdenza privata!

Caro benzina, rincari dei beni alimentari, inflazione che scende più lentamente della media nel paese coi salari più bassi dell’UE: le politiche economiche della maggioranza si stanno dimostrando del tutto inefficaci sia per gli effetti sulla pelle di chi lavora, o cerca di farlo, sia sul PIL che ci vede penultimi in Europa nella graduatoria della crescita.  

La NaDef, nota di aggiornamento al Def, deve essere approvata entro il 27 settembre e sarà la prima vera prova ad alto rischio per il governo Meloni. Chi ha fatto i conti dice che non tornano. Servono almeno 50 miliardi di euro, ma secondo alcune stime si potrebbe arrivare a 63 miliardi, per non sforare il deficit. Il catalogo è questo: 10 milardi per la riforma fiscale ancora da trovare; 4 o 5 miliardi per l’Irpef, 3 per il cuneo fiscale e 3 per la flat tax. Poi c’è il nodo pensioni da 2 miliardi, altri 2 miliardi per la società Stretto di Messina, obolo di Salvini alle mafie del cemento e degli appalti, 7-8 miliardi di maggiore spesa per interessi e minimo 4 miliardi per la sanità che per i confederali dovrebbero salire almeno a 7, più l’aumento della spesa per il rinnovo dei contratti degli statali. Infine ci sono da calcolare le minori entrate e il calo della crescita del PIL, che in automatico peggiorerà il rapporto con il deficit. Le carte per ora le gira il vice ministro delle Finanze Maurizio Leo che, dalla revisione profonda delle agevolazioni e detrazioni fiscali punta a recuperare decine di miliardi rischiando di scontentare molti, moltissimi, anche elettori della destra.

Ce n’è abbastanza per un autunno più caldo che mai?

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One thought on “Il governo Meloni pronto a tradire (quasi) tutti

  1. Interessantissimo e bellissimo l’articolo, penoso ( a trattenersi da coloriti “francesismi” ) il “governo” crudelmente antipopolare e filopadronale che purtroppo ha dichiarato guerra al Sud e agli ultimi.

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