Parte nella scuola la resistenza ai capitalisti digitali (da “Il Manifesto”)

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Parte nella scuola la resistenza ai capitalisti digitali (da “Il Manifesto”)

Luciana Cimino

La riforma della scuola mascherata da digitalizzazione ha trovato una prima opposizione. Dalla protesta del Liceo Pilo Albertelli di Roma, dove il collegio docenti ha bocciato un finanziamento da 275 mila euro proveniente dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), è nata prima un’assemblea nazionale tenuta il 15 giugno scorso all’università Sapienza che ha visto la partecipazione di oltre 250 persone. Ieri la mobilitazione è continuata con un presidio al Ministero dell’Istruzione (e del «merito») al quale hanno partecipato anche studenti e docenti provenienti da Torino e da Napoli.

DAVANTI ALLE SCALE del ministero in viale Trastevere, in un sit-in che si è trasformato in una lezione in strada, hanno condiviso le esperienze del liceo artistico Frazzini di Varese e l’Iss Pascal di Roma, analoghe all’Albertelli. Padova, Torino e Napoli ad esempio. Gli interventi dei docenti, degli studenti e dei genitori hanno squadernato una forte critica al piano «Scuola 4.0» e all’impostazione ideologica del Pnrr.

LA MOBILITAZIONE ha inteso denunciare questa contraddizione: si stanziano i fondi del Pnrr per acquistare le macchine e i contenuti che dovranno essere veicolati con esse mentre si tagliano risorse per gli insegnanti e tutto il personale scolastico. Proprio loro che devono far crescere e formare ragazzi e ragazze attraverso l’accorpamento delle classi. «Il Piano Scuola 4.0 – hanno spiegato i genitori e i docenti dell’Albertelli – ci ha fatto capire che si confrontano due modelli di scuola. Quello digitale amplifica le differenze sociali. La scuola deve essere un luogo protetto di formazione critica per acquisire gli strumenti con cui affrontare il mondo, non un luogo di addestramento e adeguamento al lavoro e alle sue forme».

«LO STRAORDINARIO RIFIUTO ragionato del Liceo Albertelli è un rifiuto politico – ha detto Anna Angelucci, insegnante al Liceo Tacito di Roma e responsabile nazionale dell’associazione Scuola per la Repubblica – la digitalizzazione della scuola è la messa a punto di un processo di lunga data di dematerializzazione dell’insegnamento». «Ci danno un sacco di soldi per trasformare la scuola in una mega infrastruttura digitale che avrà ripercussioni sul profilo pedagogico e strutturale ma è nostro dovere chiederci se è necessario – ha continuato Angelucci – È con questo che risolviamo i problemi nella formazione dei giovani? È con questo che risolleviamo una istituzione massacrata? Abbiamo classi pollaio, scuole fatiscenti, soffitti che crollano, infissi inadeguati, non ci sono palestre, i servizi igienici sono indegni, non c’è personale per le aperture pomeridiane che sono indispensabili, la famigerata carta igienica continua a mancare ma dobbiamo spendere 7 miliardi per gli ambienti digitali».

«È UN RIFIUTO che va difeso e che dovrebbe essere seguito da tutte le scuole d’Italia – ha aggiunto Marcella Raiola, insegnante di latino e greco in un liceo di Napoli» «Per 30 anni hanno definanziato la scuola pubblica – ha commentato Francesco Locantore, docente dell’Iss Di Vittorio- Lattanzio di Roma – ora ci danno questi soldi per nascondere quella che è in realtà una riforma strutturale della scuola che denota un disprezzo per le nuove generazioni, una volontà di tornare indietro alle classi differenziali per gli studenti fragili e tenere il ritmo delle eccellenze. Una visione classista dell’istruzione in cui i figli dei lavoratori non sono destinati all’università. Qui si rompe la democrazia scolastica disgregando il corpo docente».

DAL PRESIDIO è giunta una proposta di mobilitazione da settembre; è stata promossa la creazione di un coordinamento nazionale con docenti, genitori o studenti «che vogliono opporsi a questo processo ma soffrono solitudine e scoramento». Sarà organizzato un convegno e sarà diffuso un modello di delibera per i consigli di istituto che vorranno opporre un’«obiezione di coscienza» agli obblighi previsti dal Pnrr. «Come insegnanti non siamo disposti a diventare appendici delle macchine – ha detto Mauro Giordano, docente dell’Albertelli – Questo processo non è ineluttabile: rifiutiamo la “resilienza” e mettiamo in campo una resistenza per il rilancio della scuola pubblica libera, partecipata e di qualità».

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