Aumenta l’inflazione, non i salari

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Aumenta l’inflazione, non i salari

Nel 2022 si è osservata in Italia una crescita dei salari pari a circa il 3%, ma nello stesso anno, per via di un aumento dei prezzi del 9%, i salari reali hanno segnato una caduta drammatica pari a circa il 6% (dati ISTAT).Ciò significa che mediamente i lavoratori italiani hanno perso il 6% del potere d’acquisto del proprio salario. Un impoverimento di grave entità. Ma vi è di più: la contrattazione salariale con relativi incrementi avviene sulla scorta di un particolare indice dei prezzi, il cosiddetto IPCA depurato dalla componente energetica importata. Dall’inflazione complessiva si elimina una parte stimata e riferita al gas e al petrolio importato e si ottiene un certo indice, in generale inferiore a quello “lordo” (cioè comprensivo anche dei beni energetici importati).

E così quest’indice, l’IPCA depurato, essendo più basso di quello effettivamente riferito ai prezzi che i lavoratori e le lavoratrici si ritrovano nel carrello della spesa rappresenta una base di partenza per la contrattazione salariale più bassa di quella che servirebbe per tutelare il potere d’acquisto dei salari; inoltre l’IPCA depurato dai beni energetici importati non rientra tra gli indici forniti dall’ISTAT mensilmente ma viene diramato a cadenza annuale. Nel mese di giugno, l’ISTAT pubblica le previsioni per il triennio e aggiorna quelle dell’anno precedente, di solito abbassandole di pochi decimali. Ciò significa che, ad esempio, i rinnovi dei contratti collettivi che avvengono a dicembre di un certo anno si baseranno su un tasso di inflazione, da cui non solo sono stati artificialmente esclusi alcuni beni, ma che si riferisce ad un periodo antecedente a quello della contrattazione. Nel giugno del 2023 si è tuttavia verificata un’eccezione di non poco conto. L’inflazione valida per la contrattazione salariale, riferita al 2022, è stata rivista al rialzo (6,6%) rispetto a quella con cui sono stati contrattati i rinnovi contrattuali fino a questo mese. Nessun contratto collettivo, ad eccezione di quello dei metalmeccanici, risentirà di questo aumento poiché nessuno prevede l’adeguamento alle revisioni dell’IPCA depurato. Al contrario, l’IPCA depurato della componente energetica nel 2023 è cresciuto di più di quello lordo per via di un naturale ritardo nella trasmissione dell’aumento dei costi energetici nei prezzi dei beni al consumo. Ciò vuol dire che l’aumento vertiginoso avvenuto nei prezzi dei beni energetici tra il 2021 e il 2022 e poi rallentato continua a manifestarsi, un anno dopo, nell’andamento dei prezzi dei beni di consumo.

Addio anni 70 e 80, quando la forza dei sindacati e il meccanismo della scala mobile (indicizzazione automatica dei salari nominali alla dinamica dei prezzi) consentivano ai lavoratori di difendere il valore dei salari rincorrendo a colpi di aumenti contrattuali la dinamica dei prezzi*

*”L’inflazione è lotta di classe: come difendersi dal carovita” (collettivo di economisti “Coniare Rivolta”)

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