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“La Domenica delle Salme”. Un testo “di rottura”

Manuel M Buccarella

“La Domenica delle Salme” di Fabrizio De André è inserita nell’album “Le Nuvole” del 1990.

Benché firmata indistintamente da De André e Mauro Pagani, come tutti gli altri frutti della loro collaborazione, i due autori non hanno nascosto che il primo fu essenzialmente autore del testo, mentre Pagani si occupò della musica.Il brano si aggiudicò la Targa Tenco alla Migliore Canzone nel 1991.

L’inizio del brano è costituito dall’esecuzione di buona parte di “Giugno” (da “Le stagioni op.37a”) di Pëtr Il’ič Čajkovskij da parte del pianista Andrea Carcano.

Un testo “di rottura“

La genesi come il significato del testo sono spiegati da Mauro Pagani in un’intervista del 2006: “Faber tirò fuori uno dei suoi famosi quaderni, e le cento righe di appunti quasi casuali, raccolti in anni di letture di libri e quotidiani, in tre giorni diventarono la descrizione lucida e appassionata del silenzioso, doloroso e patetico colpo di Stato avvenuto intorno a noi senza che ci accorgessimo di nulla, della vittoria silenziosa e definitiva della stupidità e della mancanza di morale sopra ogni altra cosa. Della sconfitta della ragione e della speranza.Credo che nel testo de “La domenica delle salme” ci sia tutta la grandezza di Fabrizio narratore. Ci sono tutti gli elementi per capire, ma tutto è raccontato, non ci sono sintesi o giudizi, che, come lui diceva spesso, nelle canzonette sono peccati mortali. La visione del tutto scaturisce dalla somma di tante piccole storie personali, nessuno grida in quella ridicola tragedia. Nessuno punta il dito, tutto si spiega da sé.E nell’elenco dei patetici fallimenti, come tutti i grandi, Faber non dimentica il proprio e quello dei suoi colleghi canterini, giullari proni e consenzienti di una corte di despoti arroganti e senza qualità.»

Nel testo sono citati il “cugino” poeta brasiliano Oswald De Andrade, per il”suo atteggiamento comportamentale oltre che poetico totalmente libertario, per quel suo anticonformismo formale che lo fa essere qualcosa di più e di meno e comunque di diverso da un poeta in senso classico…”, dice l’autore durante un’intervista del 1990, ed il fondatore delle Brigate Rosse Renato Curcio, paragonato al carbonaro Piero Maroncelli.

«Il riferimento a Curcio è preciso. Io dicevo semplicemente che non si capiva come mai si vedevano circolare per le nostre strade e per le nostre piazze, piazza Fontana compresa, delle persone che avevano sulla schiena assassinii plurimi e, appunto, come mai il signor Renato Curcio, che non ha mai ammazzato nessuno, era in galera da più lustri e nessuno si occupava di tirarlo fuori. Direi solamente per il fatto che non si era pentito, non si era dissociato, non aveva usufruito di quella nuova legge che, certamente, non fa parte del mio mondo morale… Il riferimento poi all’amputazione della gamba, voleva essere anche un richiamo alla condizione sanitaria delle nostre carceri.»

Nel testo vi sono ulteriori riferimenti ad importanti fatti di cronaca di quegli anni, come il caso dell’omicidio di un senzatetto, ospite del Pio Albergo Trivulzio (“la Baggina”) di Milano, ovvero alla profanazione di diversi sepolcri ebraici nella Germania Est, che De André teme essere espressione di un rigurgito nazista che avrebbe potuto contagiare il resto d’Europa.

Brano eccellente, anche nella composizione musicale, grazie in particolare al violino ed al caratteristico kazoo suonati da Pagani.

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