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Omicidio di Renata Fonte. Fu davvero a causa di Portoselvaggio?

Il 31 marzo del 1984, oramai trentanove anni fa,Renata Fonte, 33enne assessora repubblicana alla cultura e pubblica istruzione del Comune di Nardò, fu uccisa con tre colpi di pistola mentre rincasava di notte dopo un lungo consiglio comunale. L’omicidio della Fonte viene storicamente, anche se non giudiziariamente, ricondotto alla lotta per Porto Selvaggio, meraviglioso parco naturale che si affaccia su una parte importante della scoscesa costa neretina, sul mar Jonio. Durante il mandato (fu tra l’altro eletta in consiglio comunale nel 1982), al fine di difendere l’area di Porto Selvaggio dalla speculazione edilizia, promosse una modifica al piano regolatore; l’omicidio venne commesso pochi giorni prima dalla seduta nella quale si sarebbe decisa la modifica da lei proposta.

Indagini e processo

Le indagini inizialmente si concentrarono sul marito, separato dalla moglie e trasferito in Belgio, ma grazie anche alla testimonianza di due donne, vennero individuati gli esecutori materiali, Giuseppe Durante e Marcello My e gli intermediari, Mario Cesari e Pantaleo Sequestro, e soprattutto il mandante, Antonio Spagnolo, un collega di partito della vittima, che alle elezioni era risultato il primo dei non eletti. Le indagini non riuscirono però a ricostruire con certezza le motivazioni dell’omicidio.

Il processo di primo grado condannò all’ergastolo per omicidio premeditato Antonio Spagnolo come mandante e Giuseppe Durante come esecutore materiale del delitto. Spagnolo era subentrato dopo la morte di Renata Fonte come consigliere comunale in quanto era il primo dei non eletti, e quindi assunse anche l’incarico di assessore; vennero condannati anche a 24 anni di carcere Mario Cesari, come intermediario, e Marcello My, che era insieme al killer e che confessò la sua partecipazione al delitto il 25 aprile 1984, dopo essere stato arrestato; Pantaleo Sequestro venne condannato a 18 anni per aver contattato, su mandato di Antonio Spagnolo, My e Durante.I gradi successivi hanno confermato il giudizio di primo grado, condannando come mandante Antonio Spagnolo, come esecutori materiali Giuseppe Durante e Marcello My, Mario Cesari e Pantaleo Sequestro come intermediari.

Un’altra versione dei fatti.

Secondo un’ altra versione, che è stata proposta anche di recente da alcune fonti accreditate, l’ omicidio Fonte non sarebbe riconducibile alle sorti di Portoselvaggio. Quando Renata Fonte fu uccisa, infatti, Portoselvaggio era stato già salvaguardato dalle speculazioni in virtù di una legge regionale che nel 1980 aveva istituito in tutta quell’area il Parco naturale regionale di Portoselvaggio. Promotori di quella legge furono Luigi Tarricone (PSI, Presidente del Consiglio Regionale) e Antonio Ventura (Consigliere regionale PCI), i quali si fecero interpreti del sentimento popolare scaturito da una forte mobilitazione giovanile che coinvolse vasti strati di popolazione, organizzazioni politiche e donne e uomini illustri della città di Nardò, fra cui lo storico ed avvocato comunista Pantaleo Ingusci. La battaglia per la salvaguardia di Portoselvaggio fu protagonista anche di un’importante seduta del Consiglio Comunale di Nardò, durante la quale una lunga serie di interventi di consiglieri comunali socialisti, comunisti e missini impedì l’approvazione di una delibera favorevole alla lottizzazione richiesta dagli allora proprietari della zona. A quel tempo, la Fonte non era ancora tornata definitivamente a Nardò né aveva incarichi politici comunali.

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